Tuesday, February 09, 2010

Meritarsi il nulla

Up in the air
Jason Reitman, 2009
George Clooney, Anna Kendrick, Vera Farmiga.

Juan Carlos Onetti ha scritto che “svegliarsi è accettare la sconfitta dopo aver lottato brevemente per meritarsi il nulla, quindi rassegnarsi a sentirsi esattamente conforme alla concavità della propria disgrazia”.
Forse Ryan, il personaggio che incarna egregiamente George Clooney in questo film, non sarebbe in grado di formularlo così, però è il vuoto quello che noi spettatori sentiamo quando lo incontriamo, ed è anche il nulla quello che la camera ci lascia nella retina quando lo salutiamo alla fine della sua unica breve avventura vitale, nonostante una breve illusione di riscatto all’americana che - fortunatamente per l’economia del film - non ha successo. Lui “ha in mente un numero”, 10 milioni di miglia, in una cornice grigia di metallo e plastica che lo accompagna ovunque.
I titoli iniziali del film sono brillanti: segmentazioni geometriche dello schermo su paesaggi aerei di panorami vuoti, girati verso l’ocra e il grigio, colori privi di brillo, panorami del centro e middle-west americano, geometriche città anonime senza centro, enormi campagne automatizzate, porti industriali. Apparentemente questo dovrebbe essere il suo sfondo sociale: la crisi attuale e l’enorme impatto in termini di sofferenze personali che sta producendo, oltre i numeri e i crack che risuonano nei titoli dei telegiornali. Tuttavia questa critica sociale non riesce ad andare avanti, appena ci identifichiamo con le persone che vediamo pregare, arrabbiarsi o addirittura prepararsi per il suicidio, perché la potenza del personaggio di Clooney è tremendamente coinvolgente.
Questo film di Rietman è una bella sorpresa. E’ un grande piacere osservare George Clooney che riempie lo schermo senza tregua donando un volume significativo a questo lavoro che altrimenti forse sarebbe stato giudicato semplicemente “carino”.
Ma l’argomento del film non è affatto carino, parla della disgrazia, delle bruttezze della vita. Henry James scrisse ai suoi figli ancora giovanissimi questo paragrafo terribile:

Every man who has reached even his intellectual teens begins to suspect that life is no force; that it flowers and fructifies on the contrary out of the profoundest tragic depths of the essential dearth in which its subject´s roots are plunged.
The natural inheritance of everyone who is capable of spiritual life is an unsubdued forest where the wolf howls and the obscene bird of night chatters


Così Rietman ci racconta dell’assenza di verità dei nostri rapporti personali; della necessità con la quale nella vita compaiono ineluttabilmente bruttezze che è impossibile allontanare e con le quali dobbiamo convivere; dei compromessi dell’amore; della superficialità di questa vita moderna che ci siamo costruiti; della velocità adorata per i futuristi e la contemporaneità degli eventi che ci circondano e riusciamo a gestire ma forse non a vivere.
La teoria della relatività dimostra che il tempo dipende dalla velocità con la quale si muove il soggetto rispetto al sistema di riferimento, più veloce ci muoviamo più lentamente trascorre il tempo. Ma questo mantra che ha ossessionato la modernità perde il suo senso quando è tutto il sistema a muoversi alla stessa velocità, questa frenesia generale non pare che riesca a detenere il tempo e stiamo già tornando ad ambire il suo congelamento, il lentissimo ticchettio dell’orologio in un luogo immobile che descrive ad esempio Thomas Mann in “La montagna incantata”.

Epilogo: chi sapesse camminare come cammina George!!!

1 Comments:

Blogger Samanta said...

mi piace quello che scrivi. è malinconico, consapevole e velatamente triste.
inutile dire poi che concordo con te sulla camminata di George

11:14 AM  

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