Sunday, February 28, 2010

I am the master of my fate

Invictus
Clint Eastwood, 2009
Morgan Freeman, Matt Damon


Out of the night that covers me,
Black as the Pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds, and shall find, me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll.
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.


Questi versi di William Ernest Henley sono il fulcro dell’ultimo film di Eastwood, forse sono anche una buona rappresentazione di quello che ha tentato di dirci durante la sua oramai lunga carriera come regista (questo è il 33esimo film che ha diretto) e della sua Weltanschauung. Bird, Unforgiven, Gran Torino ci parlano con particolare forza di questo concetto chiave per Eastwood, la libertà individuale. I suoi film sono quello che più si approssima ai racconti di John Ford nel nostro mondo moderno. Ma Eastwood non si è limitato a fare dei western, sebbene ne abbia fatto diversi, ma ha creato western in ognuno dei generi cinematografici: questo è un western epico, sportivo e quasi religioso. A momenti sembra un racconto storico sulla conquista della libertà in Sudafrica, altri un’epopea sportiva, certe volte la storia di Gesù-Mandela.
La storia comincia con immagini di archivio, finte e vere, che mostrano la liberazione di Nelson Mandela-Morgan Freeman l’11 Febbraio di 1990 dopo quasi trent’anni di prigionia. In 1994 Mandela raggiunse la presidenza della repubblica sudafricana e guidò la transizione dall’Apartheid alla democrazia.
Questo è lo sfondo storico. Il racconto che guida il film è la celebrazione dei Mondiali di rugby in Sudafrica in 1995 e come Mandela usò questo evento come strumento di unificazione del paese grazie alla sorprendente ed eccezionale performance del team sudafricano, che vinse il campionato anche se non era tra i favoriti alla vigilia.
Abbiamo detto prima che per certi versi sembra un’epopea storico-religiosa: dopo essere derubato della metà della sua vita, Mandela riuscì a farsi portavoce di una nuova politica di perdono, di tabula rasa, per ricominciare da zero e ricostruire non soltanto l’economia ma soprattutto le relazioni tra le persone che sino a quel momento si erano odiate. Mandela non ha una falla in questo suo obiettivo, lo insegue senza sosta, senza tentennamenti, senza deviazioni. Ma non è un santo, come spesso succede agli eroi di Eastwood la sua vita familiare è un disastro: separato, non ha un buon rapporto con sua figlia.
Il film ci fa partecipare a questo momento della storia del Sudafrica dal punto di vista di Mandela, non tanto in quanto uomo politico ma come persona, che si alza prima dell’alba, fa una passeggiata, fa colazione, pensa e da queste riflessioni trova la forza per compiere le azioni che ritieni giuste. Ci dice come un uomo può trovare in se la forza necessaria per sovrapporsi prima alla tortura e l’ingiustizia, e dopo per spingere un paese nella direzione che crede giusta.
In parallelo scorre la vicenda sportiva, dove l’epopea storica trova un mezzo e un riflesso. Il rugby è uno sport praticamente sconosciuto negli Stati Uniti e non molto sviluppato in Italia, ma ha una forza impressionante nel mondo anglosassone e in Francia. Il periodo in cui si situa l’azione coincide con l’apice della popolarità e la forza mediatica del rugby nel mondo, grazie alla presenza di un campione senza paragone: il neozelandese Jonah Lomu. Lomu compare nel film di sfuggita e la sua controfigura non può che far ridere a chi ha visto in azione il vero Lomu, quindi per chi non lo conosca, vale la pena vedere in questo filmato come giocava questo gigante di 1,96 e 120 kg di peso in grado di correre i 100m in 10,9 e portarsi via come un treno i giocatori che tentavano di fermarlo:

http://www.youtube.com/watch?v=OsXTa7UCGlk

La vicenda di Lomu non ha spazio nel film, ma è anche interessante. Questo gigante che spazzava via gli avversari come briciole fu sconfitto dalla malattia, poco anni dopo gli eventi che racconta questo film Lomu dovette abbandonare lo sport a causa di una forma rara di nefrite e solo dieci anni dopo è riuscito a tornare a fare una vita normale.
Fin qui gli aspetti positivi del film, che sono tanti, però purtroppo sono presentati attraverso un linguaggio cinematografico quasi banale, re iterativo, che fa uso dell’immagine rallentata senza necessità, disegna caratteri di una semplicità infantile e infine porta ad una conclusione scontata dall’inizio. Questa nuova versione del Maverick Eastwoodiano non rimarrà nella memoria nonostante la pubblicità che ha ricevuto (o proprio per questo) ma va riconosciuta a Clint la coerenza e l’opportunità di parlarci in questo momento del valore della libertà e della nostra responsabilità.

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